Title: « Dressing » the Stage : the History of the Theatrical Costume
Edited by: edited by Donatella Gavrilovich and Esther Merino Peral
Year: 2023
Pages: 163
Editor: UniversItalia
ISSN: 2421-2679

Editorial

Il nono numero della rivista «Arti dello Spettacolo/Performing Arts», dedicato a “Vestire” la Scena: la Storia del Costume Teatrale, raccoglie i contributi di studiosi che hanno esplorato la storia del costume dall’antichità all’era contemporanea. Questo indumento, che l’attore indossa, non è un abito, ma un elemento costituente dello spettacolo come la scenografia, la musica, la luce. Esso ha la funzione di comunicare emozionalmente e con immediatezza allo spettatore le caratteristiche storiche, culturali e sociali, o simboliche, mitologiche e fantastiche del personaggio.
Il costume di scena si congiunge indissolubilmente al suo corpo nel gioco recitativo per esprimere plasticamente stati d’animo ed emozioni. In alcuni casi esso ha avuto una funzione liberatoria e trasgressiva tanto, da mettere a nudo il corpo dell’attore che, a volte, è coperto solo da decorazioni dipinte. Artisti, scenografi e costumisti hanno visualizzato la personalità, le pose e l’animo del personaggio trasformando il figurino del costume, corredato da acconciature e accessori, in una sorta di visualizzazione grafica del personaggio. 
Gli schizzi e i costumi di scena di produzioni teatrali del passato sono documenti e testimonianze concrete di un Patrimonio Culturale Immateriale, che deve essere non solo tutelato e conservato, ma anche valorizzato mediante mostre e studiato con rigore metodologico.
Purtroppo, nella storia degli studi accademici è invalso il criterio, del tutto arbitrario, di scindere la produzione in arti maggiori e arti minori (arte applicata). In Italia illustri personalità come, ad esempio, Carlo Ludovico Ragghianti, si adoperarono fin dagli anni Trenta del secolo scorso per favorire il superamento di questa visione pregiudizievole della critica artistica.  Ragghianti fu uno dei primi studiosi di storia dell’arte a sostenere la peculiarità degli aspetti visivi e la specificità del linguaggio dello spettacolo teatrale e cinematografico, presentando una sintesi delle sue ricerche nei tre volumi
Arti della visione sul cinema, sullo spettacolo teatrale e sulla filosofia dell’arte (1975, 1976, 1979).
Nonostante gli sforzi di Ragghianti per eliminare ogni discriminazione tra le cosiddette arti maggiori e le arti minori, questa desueta ma consolidata
forma mentis ha prodotto anche nell’ambito degli studi teatrali una netta demarcazione tra aree di interesse maggiore (testo drammaturgico, attore, recitazione, regia e, successivamente, libretto, danzatore e coreografia) e minore (costume, scenografia, attrezzi scenici, illuminotecnica).  La scissione settoriale degli studi sugli elementi costitutivi di uno spettacolo teatrale in base alle conoscenze e alle competenze specifiche ha, di fatto, smembrato la sua unità originaria, determinando la perdita dell’intero progetto creativo che non si fonda solo sulla centralità del testo o della recitazione dell’attore. Tale approccio ha penalizzato il costume teatrale che, ridotto a mero vestimento di scena, è stato spogliato della sua funzionalità e del suo intrinseco valore di “segno” comunicativo a scapito di quello stesso progetto ideativo complessivo dello spettacolo, per il quale esso fu creato. La centralità dell’attore, ereditata dalla tradizione ottocentesca, è così preponderante negli studi scientifici e nelle recensioni critiche italiani che la mancanza di rilievo della sua presenza sulla scena provoca stupore. In occasione della messinscena di Il principe costante di Calderón de la Barca presso il Teatro Fabbricone di Prato nel 2002, ad esempio, la critica rimase interdetta dalla regia di Pier’alli, ideatore anche di scene e  costumi.
L’impressione è che Pier’alli regista (e regista d’opera) abbia consegnato molto al Pier’alli scenografo. La scenografia è così totale da mangiare il testo. La stessa impostazione attoriale è come se imponesse agli attori e alle parole stesse di essere parte dell’arredo, di aderire ai contorni dello spettacolo, e questa tendenza è così totale da far trionfare la forza centrifuga delle scene e dei costumi su quella centripeta della regia (Doninelli 2002: 26). Naturalmente non era la prima volta che un regista italiano faceva “trionfare scene e costumi”. Nel 1949 Valerio Marinucci, recensendo la messinscena dell’Oreste di Alfieri al teatro Quirino di Roma, definì “Luchino Visconti: più che regista autore di spettacoli” (Marinucci 1949). E Silvio D’Amico, sottolineando lo spaesamento delle attrici Borboni e Morelli per le «immense vesti seriche» dei costumi di scena, ironicamente esprimeva il suo giudizio sullo spettacolo di Visconti fatto di «piume e orchestra», che presentava «una serie di trovate geniali; ma visive, spettacolari, proprio là dove si sarebbe trattato di mostrarci la validità della sostanza alfieriana, nella sua scabra, riottosa, intransigente, irriducibile nudità» (D’Amico 1949: 14). Quasi trenta anni più tardi Cesare Molinari tornò a riflettere sull’Oreste alfieriano di Visconti, evidenziando la visione dell’artista che volle ricostruire quella «cultura settecentesca nella quale si era formato l’autore del testo, intese cioè rappresentare il gusto e lo stile rococò, e li fece vestendo i suoi attori in costumi vaporosi e leziosi» (Molinari-Ottolenghi 1977: 23).
Negli anni Ottanta ripresero in Italia gli studi sul Modernismo e con essi l’interesse per le arti applicate. Questo movimento artistico, che si diffuse a livello internazionale, fu etichettato in senso dispregiativo come arte “decadente”, “degenerata”, “arte per l’arte” per la vacuità dei contenuti a vantaggio dello studio della forma, che gli artisti stavano destrutturando nel tentativo di creare nuovi codici linguistici espressivi, rivendicando l’autonomia dell’arte dalla sudditanza al soggetto.
Il Modernismo fu osteggiato ideologicamente e politicamente dalla maggioranza della critica artistica italiana che ebbe a definirlo come una moda, specchio delle contraddizioni della rampante società borghese di fine Ottocento e del suo «feticismo della merce» (Argan 1975: 144), negando ogni possibile nesso e continuità tra quella sperimentazione e la nascita delle avanguardie storiche.
Questa «ondata di disprezzo così caratteristica contro l’Ottocento e contro l’Art Nouveau» (Battisti 2005: 186), da un lato, penalizzò la comprensione dell’attività artistica e della poliedrica personalità di molti esponenti italiani del Modernismo; dall’altro, acuì il divario tra arti maggiori e arti applicate (Gavrilovich 2023: 25-28).
Alla fine del Novecento l’avvio delle ricerche scientifiche sul Modernismo in Italia permise di rivalutare anche una produzione artistica fino allora poco considerata: si focalizzò l’attenzione sui bozzetti di scena e sui costumi teatrali, riconoscendone la dignità di prodotti artistici e la necessità di tutelarli e valorizzarli. Gli storici dell’arte iniziarono a recuperare, esaminare e catalogare i bozzetti di scena e di costume, conservati presso i fondi e gli archivi dei teatri italiani, selezionando e prediligendo inizialmente quelli di artisti noti (Nigro Covre – Messina 1994).
Negli stessi anni anche gli studiosi di teatro cominciarono a interessarsi dell’argomento e Paola Bignami, docente di discipline dello spettacolo presso il DAMS dell’Università di Bologna, prematuramente scomparsa, divenne una delle promotrici e sostenitrici di iniziative e progetti di ricerca dedicati al costume teatrale e agli oggetti di scena.
Muovendosi con prudenza e con garbo, Paola Bignami cercò di attirare l’attenzione dei colleghi su tali tematiche creando occasioni di incontro e conversazioni, al fine di avviare il confronto tra esperienze diverse «volto alla comprensione – ma anche e soprattutto – al rinnovamento del teatro contemporaneo» (Azzaroni-Bignami 2005: 121). Nel 1997 la Bignami in collaborazione con Giovanni Azzaroni organizzò a Bologna un convegno di studi sul costume teatrale, intitolato Addosso all’attore.
Lo spettacolo, il teatro in particolare, appare a me attualmente come un insieme di dettagli, di oggetti e nella sottospecie di attrezzi, costumi, maschere e trucchi, posti accanto, sopra ma anche “dentro” (oggi non raramente, ne solo metaforicamente) al performer. Tutti questi elementi particolari, che scompongono la realtà visibile nello spazio scenico, si riorganizzano e pres/agiscono solo al cospetto dell’attore. […]
Il costume è tanto immediato nella sua fruizione spettacolare e al contempo tanto variabile da essere considerato argomento ancor più fuggevole ed effimero dello spettacolo in cui è collocato. Non è classificabile per categorie non è fondamentale per la conoscenza della storia dello spettacolo e se rimane “senza storia” o senza indicazione pertinenti, da solo – spesso – non è in grado di dichiarare la sua appartenenza allo spettacolo, anche se appare come oggetto di scena (Bignami 1999: 19).
Partendo da queste considerazioni e riflessioni, Paola Bignami volse il suo interesse ai problemi di conservazione e catalogazione museale dei costumi. Costituì e guidò un gruppo di ricerca per l’archiviazione di documenti, indumenti e oggetti di scena teatrali, confrontandosi con gli esperti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali sulle metodologie di catalogazione. Il risultato di questa sua attività sperimentale fu pubblicato nel sito RADAMES (Repertoriazione e Archiviazione di Documenti Attinenti al Melodramma e allo Spettacolo), da lei ideato, che presentava la sua proposta metodologica di catalogazione del costume teatrale. 
Con l’avvento del Terzo Millennio l’interesse a livello internazionale sulle arti dello spettacolo si sviluppò in modo considerevole grazie alla Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, stilata nell’ambito della conferenza dell’UNESCO il 17 ottobre 2003 a Parigi. Anche l’Italia fu indotta a uniformarsi alle direttive internazionali riconoscendo il valore di quel patrimonio culturale immateriale per troppo tempo dimenticato e integrando la normativa sui beni culturali. 
Fu a questo punto che si pose con urgenza il problema dell’archiviazione e catalogazione dei prodotti dell’arte applicata, come nel caso dei costumi teatrali, per i quali non si era mai sentita la necessità di redigere una schedatura ad hoc. Per risolvere efficacemente la questione, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali coinvolse un team di esperti costituito da «[…] docenti di diversa formazione, non solo storica ma anche tecnica, tecnologica, merceologica e scientifica per quanto atteneva alle discipline legate alla conservazione e al restauro di manufatti complessi» (Butazzi – Damiani – Giffi – Orsi Landini – Schoenholzer Nichols 2010: 25), al fine di progettare una scheda digitale di catalogazione per gli abiti e un lemmario con un vocabolario chiuso, specifico, determinato a priori, per facilitare la compilazione.
In questo gruppo di esperti, invitati dal Ministero, non figurava però alcuno studioso di storia del teatro. Probabilmente non si riteneva necessario coinvolgere un tale profilo professionale, perché si partiva dalla considerazione che il costume teatrale fosse un abito. Pertanto la scheda VeAC (Vestimenti Antichi e Contemporanei), composta da un corposo numero di pagine e di metadati, non presenta alcuno dei metadati necessari per catalogare un abito di scena.
Di questo si rese conto anche Paola Bignami che semplificò e trasformò il modello digitale ministeriale creando e pubblicando la scheda digitale VAC-S (semplificata), costituita da una tabella di sei pagine con metadati atti ad accogliere, oltre ai dati materici dell’abito, anche quelli concernenti lo spettacolo per il quale era stato ideato (Bignami-Ossicini 2010: 178-183).
Nell’intento di sviluppare un modello unificato che possa coadiuvare una catalogazione multi- sezionale, ovvero un sistema informativo automatizzato in grado di gestire archivi di entità eterogenee, si è individuato il costume teatrale quale oggetto ideale di analisi e sperimentazione, proprio per la sua natura difficilmente inquadrabile nei campi descrittivi già affrontati […]
Un costume teatrale si presenta come un oggetto aggregato su base temporale, ovvero un insieme effimero che esiste solo per un dato lasso di tempo non ripetibile (Bignami-Ossicini 2010: 97, 101).
Purtroppo entrambi i tentativi si presentarono non adeguati a risolvere con agilità e adattabilità le diverse esigenze di catalogazione di questa particolare tipologia di beni culturali (Gavrilovich 2013: 39-49). Ciò nonostante, l’impegno profuso dalla Bignami in tale ambito di studio è stato prezioso, soprattutto perché ha creato momenti di incontro e confronto su questo tema valorizzando ricerche per lo più isolate e marginalizzate.
In questo ultimo decennio l’interesse nei confronti del costume teatrale è cresciuto in modo esponenziale in Italia e a livello internazionale sia per le tante esposizioni temporanee, che hanno attirato un vasto ed eterogeneo pubblico di visitatori (Bertolone – Biggi – Gavrilovich 2013); sia per la fondazione di prestigiosi musei ad esso dedicati come, ad esempio, il Centre National du Costume de Scène et de la scène (CNCS) a Moulins, inaugurato nel 2006; sia per il moltiplicarsi degli studi scientifici dedicati alla storia del costume di scena; sia per la creazione di archivi e piattaforme digitali, dedicate alle arti dello spettacolo.

Grazie all’interazione tra team di studiosi di ambiti scientifici diversi, che collaborano condividendo ricerche ed esperienze, l’ideazione delle ontologie per queste basi di conoscenza ha permesso di impostare in modo nuovo il problema metodologico della catalogazione dello spettacolo teatrale. Esso è considerato nella sua unità, complessa ed etereogenea, costituita da tante diverse entità, tra le quali figura anche il costume di scena a esso intimamente collegato.

Index

The costumes, as well as the stage and costume sketches, are materials and documents of the past theatre productions. They are part of the Intangible Cultural Heritage to be preserved, safeguarded and enhanced through the exhibitions and studies based on methodological rigor. As regards Italy, scientific research on theatrical costume began with a certain delay. It was considered a product of applied arts as like as a garment of the style and fashion history field. Paola Bignami, professor of theatre history at the University of Bologna who passed away prematurely, was one of the promoters of studies and researches on theatre costume, especially in the field of digital cataloguing. In tribute to her pioneering studies, I would like to dedicate the present editorial to her.

Keywords: Costume sketch; Garment; Studies and Researches on Theatre Costume; Digital catalouge; Paola Bignami.

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In the history of theatre, stage costumes are one of the fundamental elements in the creation of scenographic composition. From the masks, the heterodoxy of the skins converted into the Saturnalia costume, the fabrics as a support for the event as a narrative chronicle, the armor of the tournaments, the dress as a metaphor, alternative duplicity of the character he wore, another skin with life of its own, right up to avant-garde abstraction, we have knowledge of all this from the beginning of the first civilizations to the present day, as can be seen in the interesting studies presented in this monographic volume of the ASPA journal.

Keywords: History of the Theatre; Theatrical Costume; Stage History; Fabric of the Stage Dress; Character.

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Textiles from the Nile Valley are a clear example of late-antique society in the territories of the Mediterranean Basin, where a classicist culture continued to develop with peculiarities in each territory, such as in Egypt. Their decorative repertoire allows us to discover many aspects of their way of life. Among the most repeated themes are those of dance, a theme with religious links although in late-antique society the rites and their meaning were disseminated in the theatre and performances, in genres such as mime and pantomime. This paper analyses the staging of these representations that were part of the collective imagination of an open society with diverse and heterogeneous ideologies and religious practices that were disseminated through cultural performances.

Keywords: Textiles; Dance; Mime; Pantomime; Egypt.

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This work analyses the references to the costumes and theatre props which Plautus made in his comedy Amphitryon. The essay includes all the text implicit indications related to this field, both in Latin and in translation. A comment then follows, which aims at providing information about the staging of the comedy. This unpublished study is part of a wider research project whose purpose is to collect all the scenic references evoked by the text in Plautus entire corpus.

Keywords: Plautus; Amphitryon; Costumes; Theatre props; Comedy.

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In the History of the Costume, the relevance of the contribution of the modern era and more specifically, of the creations in the field of the Show and the Performing Arts seems undeniable. Among other issues, it is at this time that clothing, an integral part of what can be understood as ephemeral art, also an artistic discipline of great relevance within the staging of the ludic classroom as instrumentum regni, is integrated into the broad tasks of the set designer as a total artist. In this panorama, the allusion to some of the characters who gave the most impetus to one of the most significant areas of the spectacular assemblages of the baroque wonder, especially in the Florence of the Medici of much of the seventeenth century, such as Giulio Parigi and Stefano della Bella, from where they spread to the rest of the European courts.

Keywords: Wonder outfit; History of the Costume of modern times; Royal entertainments; Ephemeral art; Courtly theatrical costume; Metaphorical costume.

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Starting from a repertoire of drawings of feathered headdresses and horse bards conserved in the Gabinetto Disegni e Stampe of the Pinacoteca Nazionale in Bologna, the contribution reflects on the costumes of 17th-century Bolognese knightly festivities. The one hundred and fourteen watercolours, partially attributed by Giovanna Gaeta Bertelà to Baccio del Bianco, is compared both with other iconographic evidences – such as the enigmatic canvases with Carousels of the Conservatorio delle Putte del Baraccano (1610-1611) or Giovan Battista Coriolano’s engravings for Amore prigioniero in Delo (1628) – and with manuscript and printed sources such as the treatise Il torneo by Bonaventura Pistofilo (Bologna 1627) and Il giuoco de Cavalieri by Berlingiero Gessi (Bologna 1671).

Keywords: Bonaventura Pistofilo; Berlingero Gessi; Chivalric Festival; Tournament; Bolognese Knightly Festivities.

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This paper aims to study the historical evolution of costumes in the staging of a 18th century French classic author: Marivaux. Starting from the iconography and the archival documentation preserved, we will specify the characteristics of the use of costume in the creation of comedies, at the Comédie-Italienne and at the Comédie-Française. Then we will study the material traces of the costumes of Marivaux’s characters at the Comédie-Française in the 19th century. The costumes are an important sign of the construction of a canon of Marivaudian comedies admitted in the repertory of Comédie-Française. The turning point in the conception of the costumes occurs, of course, with the affirmation of the staging direction as an artistic activity and an unified aesthetic reading. Through the conception and the workmanship of the theatrical costume, it is possible to see, in the staging direction of Marivaux, the genesis of a widely shared directorial reading – today judged reductive – which is summarized in the ‘marivaudage’. So, the originality of the interpretations of Copeau, Baty, Vilar, Planchon, Chéreau and Vitez is measured by the conception of costumes that are part of a significant system, to express the aesthetics of the creation.

Keywords: Costume; Staging direction; Marivaux; Iconography; Archives; Material traces.

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The aim of the essay is analyzing the transition from the French model that inspired Ivan Vsevolozhsky in Marius Petipa’s The Sleeping Beauty to the exoticizing idea of folkloric Russia that was presented abroad by the Ballets Russes in Mikhail Fokin’s The Firebird. Expanding the references contained in the text by Marina Konstantinova about Sleeping Beauty and in the essay by Sally Banes about Firebird and the Idea of Russianness, the author will focus on the dramaturgy of the ballets in question, in order to understand the decisive role played by costume in visually presenting to the public the underlying ideology.

Keywords: Ivan Vsevolozhsky; Sleeping Beauty; Ballets Russes; Firebird; Léon Bakst.

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The writer Ramón Gómez de la Serna once named the set of costumes of the Spanish dancer and designer Ana de Pombo as a Book of Hours. The denomination referred to the beauty of the attire but also perhaps to a higher ambition as far as its meaning is concerned. This wardrobe was what made Ana de Pombo a singular figure in the dance scene in the mid-20th century. Far from being purely decorative, these costumes aimed to be a symbol of national identity, a political statement and, furthermore, a commercial advertising strategy.

Keywords: Stage costume; Spanish dance; Haute couture; Regional costume; Ana de Pombo.

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The contribution reports some information for the reconstruction of Gino Carlo Sensani’s artistic formation (1888-1947), as the result of ongoing doctoral research. Sensani was an Italian costume designer for theatre and cinema and professor of the history of stage costume at the ‘Centro Sperimentale di Cinematografia’ in Rome, becoming the mentor of the great generation of Italian costume designers in the second half of the 20th century. Despite this important role, his biography and especially his training are little known today, just as the costumes he designed that have been rarely preserved. 

For this reason, it is considered important to reconstruct the crucial period in the artist’s training, from 1911 to 1933, during which he, as a self-taught artist, experimented with different techniques before coming to costume design, making it a profession for first time.

Keywords: Gino Carlo Sensani; Biography; Artistic training; Costume designer; Stage costume.

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The article aims to recreate the theatre of the imaginative and eclectic artist Santuzza Calì.

Without any claim to be exhaustive, the attempt is to reflect on Santuzza Calì’s style starting from her own words: a journey back over the italian theatre of the second half of the 20th century prompted by the interview to a generous and empathic woman. After recalling Calì’s years of training and debut in the theatre, the article explores the profound reasons behind her art and the recurrent traits of her work.

Keywords: Interview; Santuzza Calì; Italian Theatre; Costume Design; Costume sketch.

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